Forse doveva andare proprio così? Che i miei nonni abbandonarono Cibiana dopo la Grande Guerra per motivi economici
Forse non mi sentirei tanto cadorina se fossi nata in Cadore?

I ricordi che ho sono tanti, quando da bambina accompagnavo i miei per fare le visite di famiglia a Cibiana. Mio padre era un altro quando attraversava il confine a San Candido. Si trasformava in una persona aperta, allegra e quasi da non riconoscere. I nonni indossavano i loro abiti da festa e con tanti regali si passava da casa in casa per visitare le zie. Ero terrorizzata da queste zie. Tutte vestite di nero, con i loro fazzoletti in testa, e con dei baffi che mi facevano venire i brividi quando le dovevo baciare. E non c’era via d’uscita – si doveva sempre dare questi noiosi baci. È uno dei motivi perché oggi controllo regolarmente se anche a me spuntano dei peli in viso – per non provocare ribrezzo alle persone che mi baciano.
Non ricordo quante scarpette fatte a mano con del velluto di tutti i colori mi venivano regalate – all’epoca non mi piacevano, oggi sarei contenta di averne un paio.
La povertà, che a Cibiana sentivo così ovvia, mi faceva sentire contenta di poter tornare in Austria: ora non è più così . Anzi tutti gli anni torno per la Festa dei murales con mio marito. Lui non parla italiano – solo qualche parola per non morire di fame e di sete – ma quando l’ho portato la prima volta si sentiva in famiglia. Ed è lui che spinge a tornare regolarmente.
La migliore delle visite era sempre quella di Pasqua. Al negozio a Peaio la nonna faceva la spesa. (Perché in Italia tutto era migliore – perfino lo zucchero. Non mi sono mai accorta di una differenza tra lo zucchero italiano e quello austriaco. Ma se alla nonna pareva, era così.) In questo negozio a Pasqua c’erano delle uova enormi imballate nel cellofan colorato e con delle sorprese dentro. Tutte le volte ne prendevo uno e mi dispiaceva tanto di dover aspettare un successivo anno intero per averne un altro . Oggi queste uova le trovo dappertutto, e se le vedo mi chiedo come mai le desideravo tanto.
Si dice che, da anziani, si diventa di nuovo bambini. Forse un giorno starò seduta in piazzetta a Cibiana-Masariè con un paio di scarpette di velluto rosso e un gran uovo confezionato, con i baffi pungenti a chiacchiere con una come me – tutta contenta della vita e di essere tornata.

Storia scritta da: Gina Streit


Accompagnati dallo scorrere dell’acqua del rio Rin, risalendo a monte di tutti gli opifici della Roggia dei Mulini, arriviamo all’OFFICINA ELETTRICA di Leo Baldovin Carulli che mi sta guidando in questo percorso tra rocce di gesso ed acqua.
È l’unica ancora funzionante tra le centraline storiche del Cadore.
Se pensiamo al nostro mondo di display, touch screen e topi all'inglese, entrando qui sembra che il tempo si sia congelato, sembra ancora una magia che la forza dell’acqua si possa trasformare in energia elettrica.
Qui si fa spazio il regno di  Leo che con dense parole mi racconta del suo affetto e della sua dedizione per quel luogo di lavoro che a tratti potrebbe avere il profumo della sua abitazione.

Tra turbine Pelton di tipo svizzero, regolatori di velocità e alternatori trifase si integrano, in una curiosa omogeneità, piccoli ricordi, targhette, foto, libri, segni religiosi, lancette ferme di orologi forse testimoni di un tempo quasi tangibile senza ore e senza orari che il suo laborioso proprietario ha vissuto in questo luogo. Se qui spuntasse dietro ad un reostato un materasso non ci sarebbe da meravigliarsi!
Una sorta di laboratorio di un qualche mago meccanico che giorno e notte osserva, veglia, aziona e impasta le forme di energia per garantire luce a tutto il paese.
Accanto a quell'alone importante e misterioso del quadro di controllo su fondo marmoreo, si percepisce nell'aria la meraviglia dei tanti bimbi che vengono a far visita alla centralina di Leo e la generosità con cui lui li accoglie facendoli entrare a sbirciare nel suo mondo.
Così un poco mi dispiace quando Leo chiude la porta di quell’atmosfera pregna e curiosa e mi riaccompagna per un pezzo di strada lungo la via dei vecchi mulini.

Gradatamente, passando  per le vecchie e particolarissime case di legno del paese, scorgendo strane meridiane sulle facciate, cammino e sofficemente ritorno verso la realtà, saluto Leo che ora tornerà a controllare che sia tutto a posto alla sua officina e poi magari “ un salto alla diga su perché questi giorni ha piovuto molto..”. 

Storia scritta da: Susanna Cro



A pochi passi dalla piazza centrale di Lozzo di Cadore, è possibile immergersi ed essere catapultati in un luogo dove il tempo sembra perdere le sue coordinate facendo rivivere il passato come fosse presente.
Mi guidano i grandi occhi di Leo Baldovin Carulli , cappello e scarpe che conoscono alla perfezione il percorso sterrato lungo le acque del rio Rin nel quale ci stiamo incamminando e che ci porterà più in su alla Roggia dei Mulini.
Nella quieta passeggiata di una giornata autunnale a poco a poco si avvicina a noi prendendo forma  tra pietra, legno ed acqua, il primo opificio con delle grandi ruote da mulino che magnetizzano l’attenzione.

È quello da poco restaurato e quando entriamo siamo completamente avvolti  dalla sensazione calda e ovattata del nuovo legno che ci circonda, un denso silenzio viene amplificato da
rari lenti cigolii degli ingranaggi e il racconto lieve di Leo mi fa incredibilmente sentire come se fossimo là noi a dover svuotare i sacchi di orzo e di grano nella grande macina a pietra e pronti poi a raccogliere la farina. Si sente la storia di quel luogo, di chi ci ha lavorato, di chi se ne è preso cura e proseguendo nella visita agli altri opifici soprastanti la sensazione è quella di chi, per la necessità di poter utilizzare al meglio tutte le risorse, ha creato nel proprio territorio un luogo di trasformazione intelligente e rispettoso.
Qui l’acqua, attraversando le grandi ruote di legno dei mulini, produce una forza motrice che muove macine per farine, pila orzo, folli, seghe, magli e forge delle fucine come quella del mulino poco sopra “dei Pinza” dove la luce impolverata che filtra dai vetri e i manufatti appoggiati lì al tavolo sembrano farci entrare a curiosare in un luogo da poco dismesso.

L’acqua di scarico della turbina è convogliata a creare dei lavatoi tra la pietra e pare esserci qualcosa nell’aria che fa percepire quelle donne lì, ritrovate, a lavare i panni al di là del ponticello.
Occorreva ingegnarsi e questi sono i luoghi dove è stato fatto.
Pare di essere capitati in un giorno di festa, pare che all'indomani tutte le attività riprendano, tutte le persone si ritrovino ad abitare questo posto, pare di sentire il chiacchiericcio e i rumori del macinare, del battere il ferro, del lavorare la lana eppure tutto è già accaduto in questo luogo vivo dove si sente catturata e trattenuta l’energia della trasformazione.
Proseguiamo ancora un poco più in su, in direzione della centralina elettrica il cui proprietario storico è proprio Leo.
Qui, dicono, un piccolo stralcio d’antiquariato è ancora in vita..


 Storia scritta da: Susanna Cro
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